Dott.ssa Alessia Sapei – Osteopata Fisioterapista a Torino

OSTEOPATIA E DOLORE PELVICO CRONICO

Il dolore pelvico cronico è un disagio ginecologico non così raro la cui diagnosi differenziale comprende patologie, problematiche chirurgiche, problemi muscolo-scheletrici e disfunzioni somatiche. Le donne sono più soggette degli uomini al dolore pelvico perché il loro corpo è influenzato da più cambiamenti come lo stato ormonale ciclico, le alterazioni biomeccaniche durante la gravidanza, lo stress psicosociale, modificazioni durante e dopo l’accudimento dei figli e ulteriori adattamenti nella menopausa. Questo tipo di dolore è definito come dolore ciclico o non ciclico della pelvi, talvolta così forte da causare impotenza funzionale. Il dolore pelvico cronico è il motivo di circa il 10% di tutti i consulti ginecologici, del 40% delle laparoscopie, e del 10-15% delle isterectomie, rappresentando così un problema di salute pubblica clinicamente importante. Una donna su sette presenta un’eziologia indefinita nella diagnosi di dolore pelvico cronico; le diagnosi più comuni sono sindrome del colon irritabile, aderenze, disordini muscolo-scheletrici del pavimento pelvico ed endometriosi. Sia l’approccio medico che quello chirurgico nella gestione del problema sono possibili e talvolta inevitabili, ma le modalità di terapia integrative come il trattamento manipolativo osteopatico sono un’opzione da prendere in considerazione.
La filosofia osteopatica adotta un approccio al benessere attraverso la conoscenza delle interrelazioni tra strutture e funzioni e va alla ricerca delle cause dei problemi dei pazienti. Quando vengono applicati per affrontare il dolore nelle pazienti donne, i principi osteopatici offrono un approccio globale che tiene conto dei complessi fattori psicologici e fisici che influenzano il progredire del dolore cronico. La percezione del dolore non può essere svincolata dalla percezione emotiva del dolore, e gli stimoli nocicettivi vanno quindi inseriti in un contesto di carattere, ambiente, cultura ed esperienze personali.
Nel corso degli anni seguenti al menarca, la pelvi si allarga, i muscoli glutei si allungano e si verifica una rotazione interna dei femori che porta allo spostamento delle rotule. La costante rotazione interna dei femori può influenzare la funzione del diaframma pelvico, facendo correre alle donne il rischio di soffrire di incontinenza da stress nel futuro, soprattutto in caso di gravidanza, di aumento di peso e in menopausa per la riduzione degli estrogeni; l’andatura scorretta può influenzare il dolore delle ossa pelviche a causa della tensione gravitazionale. Inoltre le donne hanno per natura i legamenti più lassi degli uomini e una lassità persistente può contribuire al prolasso di un organo e alla congestione venosa nella donna non gravida. A sua volta il sacro è sospeso tra gli ilei dai legamenti. Le cadute sulle natiche o sulla pelvi possono limitare la mobilità sacrale e portare al dolore pelvico, attraverso la tensione dei legamenti sull’utero o sul pavimento pelvico. Se la condizione non viene trattata, può insorgere dispareunia.
Gli organi pelvici sono collegati funzionalmente attraverso comuni e condivisi percorsi nervosi, non soltanto dalla vicinanza anatomica. I sintomi intestinali e vescicali spesso accompagnano quelli ginecologici e tali disfunzioni possono non rappresentare una malattia dell’organo bersaglio, ma una sindrome da dolore viscerale con sovraregolazione neuropatica che aggrava l’infiammazione e l’ipersensibilità. Per esempio il danneggiamento del plesso nervoso ipogastrico inferiore durante il parto può dare luogo a cambiamenti legati alla reinnervazione che produrranno dolore viscerale dopo alcuni anni. Altre cause di lesione al plesso ipogastrico inferiore, come interventi ginecologici in laparoscopia, tagli cesarei, infezioni pelviche o traumi da incidenti stradali, possono alla fine causare dolore pelvico cronico. Il trattamento manipolativo osteopatico volto a stabilizzare il cingolo pelvico può prevenire sindromi dolorose future.
In conclusione il dolore pelvico cronico è di solito multifattoriale e merita un approccio multidisciplinare medico e complementare.

TRATTO DA:
Melicien A. Tettambel, DO
Using Integrative Therapies to Treat Women With Chronic Pelvic Pain,
J Am Osteopath Assoc November 1, 2007 vol. 107 no. suppl 6 ES17-ES20

IL CRANIO… EPPUR SI MUOVE…

L’osteopatia in ambito cranio sacrale originò nel 900 dalle prime intuizioni di Sutherland, allievo di Steel (padre dell’osteopatia). Condusse studi meticolosi durati vent’anni durante i quali riuscì a descrivere la biomeccanica cranica e le relazioni che esistono tra le varie ossa del cranio e i loro movimenti reciproci. Valutò che spesso il movimento riscontrato era diverso da quello ideale ipotizzando quindi che esistessero delle disfunzioni provenienti dalla base del cranio considerata come l’articolazione sfeno basilare (tra lo sfenoide e l’occipite). Selezionò e classifico le diverse disfunzioni dividendole in fisiologiche e non, basando la valutazione su un’analisi palpatoria del cranio e un’osservazione manuale del suo movimento. Sutherland imputava queste caratteristiche anomale a un problema di sfeno basilare ma successivi studi scientifici dimostrarono che l’articolazione andava incontro ad una progressiva ossificazione con l’avanzare dell’età; diversi autori concordano, sulla base di differenti studi, con una chiusura completa entro la fine dell’adolescenza considerata fino ai 22-25 anni. Questo dato scientifico dimostra come questa regione cranica non possa essere responsabile di distorsioni dell’intero cranio, poiché non ha grandi mobilità ma un’elasticità propria del tessuto osseo. Tuttavia vi sono altri studi scientifici che dimostrano che il cranio ha una mobilità, così come le sue suture. Di particolare interesse uno studio effettuato con RMN dove si è dimostrato che le ossa del cranio hanno un movimento compreso tra 380 micron e 1 mm, i ventricoli si espandono aumentando il volume di 12-15 ml, il ritmo di questo movimento è di 6-14 cicli al minuto. Lo stesso attraverso misurazione bioimpedenziometrica ed ecodoppler transcranico ha misurato la presenza di oscillazioni lente delle ossa craniche, dimostrando che questi movimenti sono attribuibili a meccanismi di regolazione delle scorte di sangue e di consumo di ossigeno da parte del tessuto cerebrale e dalle dinamiche di circolazione del liquor cefalorachidiano. Un altro studio effettuato su due cadaveri freschi pompando manualmente una soluzione salina all’interno dei ventricoli cerebrali ha mostrato che il cranio ha una capacità di espansione di quasi 1 cm e la sua pressione intracranica è aumentata di 15 mmHg. Da questi studi si può dedurre la mobilità del cranio e delle sue suture, in grado di espandersi e adattarsi parzialmente alle pressioni.
Nella valutazione palpatoria si può individuare la rigidità delle suture craniche e ripristinare la mobilità può avere riscontri positivi su alcune manifestazioni cliniche, come avviene d’altra parte in altre regioni corporee soggette a microtraumatismi. L’efficacia di questo approccio manuale è più evidente in ambito pediatrico ma normalizzare le tensioni fasciali intracraniche attraverso le suture riporta ad esempio un’interferenza positiva sul trigemino, il cui nucleo sensitivo è connesso con i primi tre mielomeri cervicali e quindi la muscolatura cervicale superiore.

EMOZIONI IN MOVIMENTO: INTEROCEZIONE MIOFASCIALE

(Tratto da Bordoni, Marelli; Complementary Medicine Research)

Esistono numerosi articoli in letteratura riguardo il sistema miofasciale, a livello psicologico e organico, in modo macroscopico e microscopico, ma ciò nonostante non abbiamo ancora una chiara conoscenza, né una comune visione per classificarlo. Esistono diversi approcci terapeutici manuali, ma spesso manca ancora la percezione del continuum miofasciale, di come questo collegamento globale sia in grado di stimolare le aree del cervello correlate allo stato emozionale e che il trattamento manuale stimoli la interocezione (capacità del corpo di percepire il proprio sistema e mantenerlo in equilibrio, la cosiddetta omeostasi). Per ottimizzare il trattamento miofasciale, l’aspetto psicologico non va sottovalutato e in alcuni casi sarebbe necessario l’affiancamento di un percorso psicologico al trattamento manuale, creando una multidisciplinarietà.

Ma cos’è esattamente il sistema miofasciale (o più comunemente fascia) e come funziona?
La fascia è un’unica entità, con la medesima origine embriologica; le nostre strutture corporee sono avvolte da tessuto connettivo, fascia appunto, creando una struttura continua con forma e funzione differenti per ogni tessuto e organo. La fascia è distribuita attraverso tutto il corpo, a diversi piani creando una matrice metabolica e meccanica. Ogni tessuto è in continuità con l’altro tramite matrice extracellulare. Esistono 4 tipi di fascia: superficiale (sulle regioni del corpo esclusi gli orifizi), assiale (sugli arti), meningea (intorno al sistema nervoso centrale e al sistema nervoso periferico), viscerale (dalla base del cranio fino alla cavità pelvica inglobando organi, sistema vascolare e linfatico). Il sistema fasciale permette il massimo dell’adattamento in tutte le direzioni, riprendendo il concetto di biotensegrità basato sulla presenza di alternati elementi in compressione (le ossa) che bilanciano lo stress in distrazione generato e ricevuto da elementi in continuità (muscoli e fascia). Questo sistema permette un costante adattamento della fascia ai cambiamenti e una qualsiasi riduzione di questa abilità può potenzialmente portare a una condizione patologica.
Il sistema miofasciale presenta una diversificata e diffusa innervazione, con terminazioni nervose talmente estese che considerando il numero totale dei recettori della fascia alcuni autori la comparano alla sensibilità di una retina, rendendo il continuum fasciale il sistema sensoriale più ricco, con recettori assegnati alle funzioni di propriocezione (posizione di sé e delle parti del corpo), nocicezione (percezione del dolore) e interocezione. Quest’ultimo riguarda il sistema autonomo e i sistemi che mantengono l’equilibrio (omeostasi) corporeo e può quindi modulare la rappresentazione esterna del corpo e quindi di conseguenza una possibile distorsione anche della propria immagine corporea influenzando l’emotività o la percezione del dolore. È quindi fondamentale considerare che quando si va a trattare il muscolo e la fascia non si sta effettuando un lavoro esclusivamente locale ma si stanno dando stimolazioni anche alle aree emotive del cervello. Ne conseguirà che le tecniche miofasciali sono in grado di agire localmente per quanto riguarda la risposta del corpo con un aumento locale del flusso sanguigno ed idratazione ma anche globalmente andando ad agire su parametri potenzialmente emotivi. Allo stesso modo emerge come una prolungata tensione miofasciale durante la giornata e le attività può modificare la condizione emozionale della persona (diversi studi sulla fibromialgia lo dimostrano). È possibile inoltre supporre che anche un’allodinia (sensazione errata e di solito fastidiosa di una percezione tattile) possa essere legata a una non corretta afferenza miofasciale, portando ad una condizione fisica ed emozionale patologica. Poiché la fascia è distribuita su tutto il corpo va da sé che una disfunzione miofasciale può comportare un’alterazione della postura e dell’umore, quindi agire su più fronti può essere la chiave per risolvere le problematiche di dolori ripetuti posturali e non. Al momento non esistono ancora molti studi riguardo il lavoro multidisciplinare su componente emotiva e miofasciale, ma la tendenza è di andare in questa direzione… i risultati spesso invece già si vedono nel quotidiano!

TRIGGER POINT, i fantomatici “nervi accavallati”

Chi non ha mai sofferto dei famosi “nervi accavallati” alzi la mano! Ecco… nessuno credo. Chi più chi meno abbiamo sofferto di fastidiose e a volte invalidanti contratture, spesso definite impropriamente ma con una logica sottesa, e vedremo perchè, nervi accavallati. Queste contratture importanti e localizzate ad oggi si possono definire bene come Trigger Points (TP) o Punti Trigger. Sono punti sensibili nei tessuti molli muscolari e caratterizzano un dolore che può essere classificato come miofasciale (myofascial pain syndrome). La sensazione del “nervo” è data dalla loro caratteristica di far male localmente (anche definiti Tender Point in questo caso) ma di irradiare anche a distanza in determinate zone specifiche. Anche la sensazione di accavallato ha una sua logica; questi punti sono descritti come crampiformi e al tatto si ha la sensazione di nodulino nel muscolo. La traduzione in senso stretto di “trigger” è grilletto, ma il suo significato più ampio di attivatore a distanza rende meglio l’idea.

Il loro studio approfondito è stato eseguito da Travell e Simmons.

Le caratteristiche comuni che devono far pensare ad un TP sono:

  • punto dolente nel muscolo o nella fascia, non causato da eventi esterni/interni
  • se stimolato può provocare una contrazione involontaria dell’intero muscolo (local twitch response)
  • se stimolato riproduce “il dolore conosciuto” del paziente e può irradiare a distanza
  • il dolore non è correlabile da un punto di vista neurologico

Si possono inoltre distinguere in TP attivi e latenti; i primi evocano dolore irradiato, presente anche in assenza di stimolazione diretta, i secondi sono come addormentati ma producono dolore nel momento della stimolazione diretta e inoltre possono essere causa di malfunzionamento celato e contribuire a problematiche future.

E’ quindi importante trattare questi TP in modo da evitare recidive dolorose o l’instaurarsi di catene muscolari disfunzionali. Il trattamento può essere di tipo manuale compressivo locale, così da favorire un ritorno successivo di sangue e quindi di ossigeno ai tessuti, si può utilizzare del ghiaccio ed uno stretching, tecniche ad energia muscolare per favorire il riflesso di rilassamento del muscolo interessato, tecniche con strumenti appositi per lavorare sulla fascia neuromuscolare, ecc. L’importante è che le tecniche vengano eseguite da personale esperto che vada ad agire correttamente sul muscolo e sui TP, altrimenti il risultato potrebbe essere l’opposto!

Esistono tantissimi TP perchè potenzialmente presenti in tutti i muscoli del corpo, quindi risulta fondamentale che l’operatore esegua una valutazione adeguata dei sintomi, delle zone interessate, della storia clinica, per poi correlare con la palpazione manuale dei muscoli e delle fasce. Ovviamente questo tipo di approccio può essere inserito all’interno di un trattamento più ampio che coinvolga non solo le strutture muscolofasciali ma vada anche a considerare la struttura ossea, i metameri della colonna vertebrale coinvolti, la componente viscerale piuttosto che craniale/temporomandibolare, a seconda dei TP individuati. L’importante è ricordarsi che il corpo è un’unità, quindi le sue parti si influenzano vicendevolmente e in questa ottica cercare di aiutarlo a ritrovare un equilibrio per poter funzionare al meglio delle sue possibilità!

CERVICALGIA E ANSIA: il ruolo del Sistema Nervoso Autonomo

Durante questo periodo di grande difficoltà per tutti credo sia un problema comune soffrire di ansia, almeno un po’….chi è già un “habituè” saprà sicuramente riconoscere una cervicalgia da ansia, ma per tutti i neofiti ecco due parole a riguardo.
Ansia e stress nervoso possono provocare cervicale, dolori diffusi e altri sintomi? Certo che sì! Ora, è vero che siamo nell’era dello psicosomatico in generale, ma in questo caso direi che esistono davvero delle correlazioni. Valutiamo in questo articolo il ruolo del sistema nervoso neurovegetativo… il nostro sistema autonomo è preparato a rispondere a situazioni di emergenza (Ortosimpatico = Fight (combatti) or Fly (scappa) or Freeze (panico che “congela”)), ma non è “capace” di capire quando il pericolo è reale o solo pensato o terminato, per cui potrebbe rimanere costantemente “in attacco” anche quando vorresti rilassarti ma l’ansia ti mantiene in stato d’allerta. Di conseguenza aumenteranno la frequenza cardiaca, la pressione e sicuramente il tono muscolare (di tutti i muscoli non solo quelli cervicali!!!). Per contro il sistema parasimpatico (Parasimpatico = Rest (riposa) and Digest (digerisci)) si comporta al contrario, ti rilassa, ti aiuta a digerire, rallenta la frequenza cardiaca; il principale rappresentante è il nervo vago, responsabile tra l’altro anche di un’azione antinfiammatoria. I due sistemi non sono realmente antagonisti, è un po’ più complesso, ma indicativamente essi si modulano vicendevolmente, con proporzionalità inversa. Da qui si deduce che possiamo quindi trovarci in una situazione di aumento del tono muscolare (maggiore attivazione dell’ortosimpatico) e una contemporanea riduzione della capacità antinfiammatoria (minore attivazione del parasimpatico)…risultato…Cervicalgia muscolotensiva! A cascata potremmo andare incontro a cefalea, rigidità cervicale, dolori diffusi da infiammazione generale, problemi digestivi, disturbi del sonno, bruxismo, ecc.
Inoltre l’American Psychological Association afferma che se la persona ha una emotività fortemente negativa abbassa le capacità del sistema di essere performante come antinfiammatorio di se stesso, creando dei circoli viziosi importanti.
Quindi che si fa in autonomia? Cerchiamo di abbassare le tensioni con respirazione diaframmatica, facciamo del movimento e dello stretching, yoga, tai chi, pilates, attività che ci scarichino senza irrigidire i muscoli, tecniche di training autogeno, ecc.
Da chi possiamo farci aiutare? Fisioterapista, Osteopata, Insegnanti delle suddette attività psicomotorie, Psicologi per fare un percorso di crescita personale e di gestione dell’ansia.
“Mens sana in corpore sano”…e viceversa…..!!!

DIAFRAMMA TORACICO E CERVICALE

Il diaframma toracico è il muscolo respiratorio principale, lo utilizziamo senza accorgercene, o spesso lo utilizziamo male o poco, sempre senza averne coscienza. E’ un muscolo fondamentale per la sopravvivenza ma ha anche tante altre funzioni meno evidenti ma importanti. Per la sua anatomia è in stretto contatto con altri muscoli e organi, per questo possono crearsi problematiche a distanza. Nello specifico vediamo il rapporto con la cervicale.
Il legame funzionale tra diaframma e rachide cervicale ha due catene miofasciali dirette e un legame neurologico poichè innervato a livello cervicale (nervo frenico con origine cervicale). Far lavorare correttamente il diaframma permette di non dover utilizzare muscoli accessori respiratori (muscoli situati anche a livello cervicale) e di migliorare la mobilità della gabbia toracica. Si riduce quindi l’utilizzo soprattutto di trapezi, scaleni e sternocleidomastoidei, ottenendo un duplice risultato: da un lato il minor utilizzo favorisce un tono meno contratto e dall’altro migliora la curva cervicale, che in situazione di contrazioni importanti può tendere alla rettilinizzazione creando un circolo vizioso tra postura e contratture muscolari. Inoltre poichè l’innervazione diaframmatica è di origine cervicale si creano dei meccanismi di feedback in entrata e in uscita sul midollo spinale che portano a un aumento progressivo del tono diaframmatico e un aumento della rigidità del tratto cervicale.
Ovviamente il diaframma è inserito in un contesto globale del corpo, per cui è indicato il trattamento diretto con terapia manuale e anche con esercizi respiratori, ma è necessario valutare le eventuali interferenze viscerali e strutturali che possono ridurre la sua funzionalità. Ricordiamo ad esempio che ha strette connessioni con stomaco, esofago, fegato, angoli colici, in aggiunta a tutte le connessioni muscolari, come ad esempio ileopsoas e quadrato dei lombi per citarne qualcuna. L’osteopata è in grado di valutarle e portare il corpo verso un equilibrio.
Risulta quindi evidente che sia un muscolo chiave per una buona mobilità del rachide cervicale ma anche per il rachide in toto, basti pensare che è a cavallo della cerniera dorsolombare, punto di svincolo ideale per la deambulazione. Non è un caso che molte discipline antiche come lo yoga, il pilates, il tai chi si concentrino molto sul lavoro di questo muscolo…con l’era moderna ogni tanto causa stress, frenesia, ansia, ecc ci ritroviamo in apnea e ci “dimentichiamo” di respirare. Stare in apnea o respirare a scatti innesca subito un aumento del tono basale dei nostri muscoli, mentre respirare a fondo, di pancia, permette ad esempio un massaggio diretto ai visceri, un rilassamento del pavimento pelvico, un massaggio non conscio ai plessi neurovegetativi e tanti vantaggi derivanti dal rilassamento generale che ne consegue…provare per credere!

CORRELAZIONE TRA OSTEOPATIA E RIDUZIONE DELL’ANSIA

L’ansia è una sensazione di preoccupazione, nervosismo, disagio per qualcosa con un esito incerto, con manifestazioni che possono variare da un semplice senso di apprensione fino ad attacchi di panico con espressioni corporee importanti e invalidanti. Molti problemi digestivi possono essere innescati dall’ansia o peggiorati, così come la tensione muscolare e la rigidità in diverse parti del corpo.

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MUSCOLO ILEOPSOAS E MAL DI SCHIENA

Il muscolo ileopsoas si inserisce direttamente sulla spina dorsale, sul bacino e sul femore, ha di conseguenza la potenzialità di influenzare e di essere a sua volta influenzato dalla colonna e dalla pelvi. E’ un muscolo pari e di conseguenza ne abbiamo due. E’ un muscolo posturale ed è stato osservato e dimostrata la sua tendenza ad accorciarsi, creando un aumento della lordosi lombare,

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